La Buona Scuola è davvero un documento difficile da decodificare, in quanto mi sono impegnato per capire se è davvero scritto in buona fede.
Pagine 136, molto larghe in verità, e molto giocose. L’interpretazione grafica è quella di un libro destinato a bambini della primaria –pane e marmellata!-. Di un giornaletto di classe, non di un documento che parla delle vite dei cittadini, lavoratori, giovani e del futuro del Paese.
Quando s’incomincia la lettura, l’impressione è confermata: il linguaggio elementare è perfino suadente, addirittura paziente laddove siano affrontati gli argomenti da maneggiare con più cura.
[…] il mestiere più nobile e bello: quello di aiutare a crescere le nuove generazioni… oggi ripartiamo da chi insegna… motivare e rendere orgogliosi coloro che ogni giorno dentro una scuola aiutano i ragazzi a crescere…
E viene detto ai docenti italiani –piuttosto che a una società che sottovaluta il ruolo dei suoi insegnanti-? Concetti abusati, già nell’intelligenza di coloro che da anni sono stati il baluardo di un’Istituzione che si è tentato di dismettere per realizzare il cosiddetto Stato Leggero, magari favorendo pochi soggetti pronti a smobilitare i propri capitali investendoli nella formazione privata: un’epoca di destrutturazione sistematica da parte dei governi che si sono succeduti a danno della Scuola, anche ritenuta colpevole di avversare un modello interpretativo ultraliberista di cui si sversano ora le macerie. In verità, da un governo pronto a cambiare verso mi sarei aspettato un mea culpa, un’assunzione degli errori pregressi e l’accettazione politica che la Scuola sia l’istituzione più strategica di uno Stato, concetto che la classe docente già possiede sincreticamente al suo ruolo.
[…] un piano strategico per assumere 150.000 docenti…
Violazione della direttiva 99/70 CE; la Direttiva europea del 1999, alla quale l’Italia si è adeguata nel 2001, dice che non si può abusare di contratti a termine in modo sistematico. La politica delle assunzioni, presentata quale emblema di sagacia e lungimiranza, è piuttosto l’atto dovuto di un governo alla rincorsa di adempimenti per sanare le proprie svariate violazioni. Si sgonfia la madre di tutte le riforme della scuola, disvelando ancora una volta le intenzioni che giungono dalle stanze del potere, in continuità con lo stile della comunicazione politica in uso da un ventennio.
Per alcuni, la demistificazione delle intenzioni di codesta paventata #buonascuola è resa ingenuamente evidente con la pubblicazione di tabelle stipendiali lordo Stato, tese a costruire l’errata informazione rispetto ai miserrimi stipendi reali. Contraddittori rispetto ai poveri premi che gli scatti di carriera promettono.
[…] far uscire i docenti dal grigiore dei trattamenti indifferenziati.
Con #labuonascuola ancora non si comprende che la Scuola non è un luogo di lavoro, che Insegnare –e apprendere!- non è un mestiere come gli altri: è uno stile di vita che si porta sempre con sé, anche a casa. Non intendo parlare dei famigerati compiti da correggere e delle lezioni da preparare. Un docente instilla nei suoi studenti non soltanto nozioni ma il condensato di quello che produce nella sua mente, in senso culturale, esperienziale ed emozionale. Un insegnante ricco di passioni, interessi, informato sulla sua contemporaneità, che viaggia e legge tanto, soddisfatto del suo ruolo, sarà in grado di produrre entusiasmo e curiosità negli studenti, divenendo un modello. Davvero ho bisogno di spiegare cosa potrebbe infondere nelle menti dei giovani un insegnante vilipeso dal sistema –magari sbattuto su più sedi-, a cui viene richiesta dallo Stato formazione continua e competitività culturale ma che nel tempo libero deve attendere per necessità alle sue faccende negli strepiti domestici, non essendo sufficientemente capiente per delegare a colf e baby sitter tali incombenze? Cosa ne è di un docente che non può investire economicamente per la sua formazione e per la sua vita? Grigiore. Indifferenziato.
[…] quel merito che serve per ridare fiducia alle decine di migliaia di docenti che ogni giorno si impegnano con passione per restare al passo con i tempi
[…] scommettere sulla voglia di decine di migliaia di docenti […] di tornare, oggi, a investire su loro stessi.
Sorrido pensando al paradosso incarnato dalla figura del docente, trattato come un impiegato dal punto di vista amministrativo e burocratico –contare l’eventuale lavoro non fatto causa festività e rendicontare in apposite banche le 8/10 ore per ciascuno ma patrimonio per la scuola (sic!)-, ma considerato un libero professionista laddove si parli delle prestazioni che dovrebbe offrire, di investimento personale sulla propria formazione.
[…] Occorre quindi, prima di ogni altra cosa, un nuovo status giuridico dei docenti, che consenta incentivi economici basati sulla qualità della didattica, la formazione in servizio, il lavoro svolto per sviluppare e migliorare il progetto formativo della propria scuola.
Tutti a caccia di crediti -allora!- per far sì che i propri titoli culturali vengano finalmente riconosciuti; rendicontazione ogni tre anni e, dunque, il sospirato obolo di ben 60 euro (come mai non è citato il lordo Stato?) per il 66% dei docenti di ogni istituto –quindi, guai ai docenti in odor di premio nobel che intendano concentrarsi nella stessa istituzione scolastica!-. Al di là degli scatti indifferenziati già acquisiti, il nuovo sistema premiante è dimentico della storia professionale individuale. Meritocrazia e carriera proposte non risultano appetibili. Divenire mentor appare una minaccia più che un promozione.
[…] perché ciò che si impara a scuola dipende di più dalla piena capacità delle scuole di realizzare le proprie risorse che da imposizioni.
Lezioni d’inglese, economia, musica e arte, sport, digitalizzazione e coding. Migliorare la scuola necessita di un progetto ben determinato, poiché mettere in azione un nuovo processo di formazione ha bisogno di tempi medi –definizione curriculi, formazione docenti, misurazione degli output-. Ho l’impressione che i vari tentativi di riforma della Scuola abbiano cercato d’inseguire i cambiamenti sociali, magari anticiparli, giammai determinarli. In un mondo vieppiù complesso, il concetto di alfabetizzazione si è dilatato rendendo difficile una formazione eclettica e, al tempo stesso, esaustiva. Anche questo governo è vinto dall’ansia di trasformare la Scuola in un contenitore in cui insaccare tutto, economia e arte, musica e sport. Tante, troppe, discipline non possono essere somministrate nella medesima mente senza incorrere nel rischio di essere superficiali –quindi inefficaci, in un sistema sociale e produttivo che rincorre l’iperspecializzazione-. Tale preparazione ovviamente elementare si traduce in risultati poco performanti per gli studenti –le famigerate competenze-; né possono essere attribuite colpe ai docenti, non suffragati da strumenti e tempi di apprendimento adeguati –a volte chiamati a coprire insegnamenti previa formazione volontaria con un fugace corso pomeridiano, come nel caso dei docenti che insegnano la propria disciplina in lingua straniera-. Si continua a non capire: per insegnare musica occorrono gli strumenti musicali; per insegnare sport occorrono le palestre; per insegnare arte occorre andare per musei; per insegnare lingue docenti e studenti devono viaggiare; per insegnare scienze occorrono laboratori efficienti; per insegnare informatica occorre avere strumenti sempre aggiornati e al passo con l’evoluzione digitale. Fino a quando l’Italia investirà così poco nella sua Scuola –siamo ultimi in occidente rispetto al Pil- non aspettiamoci di tradurre immediatamente il sapere in operatività -know how: le competenze!-.
Early leaver. Cento euro a studente –che precisione nell’indicare la spesa!-. School bonus, guarantee, crowdfunding, matching fund: gli anglismi non ci illudano che le aziende investano nella Scuola senza permettere a esse una serie di vantaggi economici –forse dovrebbero farlo per amore dei giovani?-.
[…] Dobbiamo rendere la scuola la più efficace politica strutturale a nostra disposizione…
[…] Perché la Scuola è di tutti, anche di quelli –molti- che non ne hanno ancora, oggi, piena consapevolezza.
La #buonascuola ha il demerito di dare l’Istituzione Scolastica in pasto alla pubblica opinione; parafrasando lo spot di presentazione televisiva de La Buona Scuola: la Scuola Italiana ha da imparare anche da te! E così, ogni italiano può ufficialmente dire la sua, magari sostituendo l’argomento Scuola a quello Pallone durante la pausa caffé, e riempire il questionario on line del Miur quale ostentazione di democrazia e di illusoria partecipazione ai meccanismi decisionali.
Lo confesso, ancora non riesco a capire lo spirito con cui è stato scritto questo Manifesto d’intenti sulla scuola italiana. A meno che lo scopo de La Buona Scuola sia di distrarre le mie energie per farmi scrivere questa tautologia!
Vado a leggere le pagine finali, i Ringraziamenti. Un gran numero di persone -ministro, sottosegretari e loro staff, sicuramente stimabili, con il solito difettuccio di non vivere la Scuola- hanno redatto questo documento lavorando alacremente:
[…] letteralmente giorno e notte- alla redazione di questo Rapporto.
M’intristisce realizzare che tanta sapienza –in molti casi certificata all’estero!- non si renda conto del ridicolo di queste affermazioni. La classe dirigente del mio Paese.
Finita la lettura, non risolvo i miei dubbi –malafede, sì o no?-; il documento sicuramente rinfocola il pregiudizio di coloro che ritengono che la classe docente italiana sia composta da individui culturalmente inadeguati, manovalanza intellettuale da guidare con il segnale acustico di un tweet.
Una consapevolezza l’ho guadagnata: inutile discettare inaudito sull’antiteticità antropologica dei modelli piagettiano e deweyano, dell’esaltazione della forma mentis sintetica più che analitica, della considerazione che la scuola sia volano di ricchezza concretamente futuribile, di risparmio immediatamente indotto per la spesa pubblica; il mio Paese langue senza fremiti e inoperoso scivola verso l’oblio -destino dei popoli che disdegnano di concentrare le proprie risorse sui giovani- dimentico del proprio passato quindi insipiente e rassegnato a non guidare il futuro.
Pertanto, sia concesso il rifugio nella retorica per lenire l’impotenza. Anche a me.
Prof. Nicola Tenerelli