Gentilissimo Presidente del Consiglio, Matteo Renzi,
t’indirizzo questa lettera avendo avuto cura di attendere che il nuovo corso da te rappresentato potesse avere una sia pur minima concretizzazione, evitando pregiudizi.
Sono un docente di Filosofia del Liceo di Stato che ritiene di avere l’autorevolezza per essere ascoltato, iperqualificato come tantissimi insegnanti, venti anni di carriera (tra privato e pubblico) con un solo giorno di malattia.
Dalla tua nomina a Capo del Governo tangibile è stata la maggiore attenzione sul mondo della scuola e una teorica quanto generalizzata solidarietà per gli insegnanti, subito travasata dal tuo discorso d’insediamento sulle prime pagine di alcuni autorevoli quotidiani (gli stessi che in precedenza avevano chiamato i docenti italiani ‘fannulloni’ o ‘evasori’, avallando il loro svilimento).
La scuola italiana oggi più che mai mostra le ferite dell’insipienza che ha lacerato sia la valenza sociale quanto le fondamenta emozionali di ogni formazione, eredità della nazione offerta ai propri figli per decodificare il futuro. Da molti anni, tale patto transgenerazionale è stato tradito, la Scuola italiana non offre più ai giovani una prospettiva di sapere ed evoluzione. E se fino a poco tempo fa parlavamo di fuga di cervelli già sapienti, adesso assistiamo a un esodo di giovanissimi che vanno a istruirsi fuori dal Belpaese.
Almeno da un decennio, la politica italiana ha obliato ogni tensione progettuale a favore della Scuola (non è la sede per enumerarne i motivi), producendo decadimento culturale e sociale, così come verifichiamo dall’analisi delle valutazioni dei nostri studenti e dalla comparazione internazionale delle loro competenze.
Gentilissimo Matteo, bada che parto dal presupposto che tu voglia davvero intervenire per ricostruire la Scuola di Stato e che non intendi perseguire ulteriormente l’intento di distruggerla per rincorrere il cosiddetto stato leggero, favorendo le istituzioni di formazione private. Col tuo governo, al momento, hai promosso un piano-scuola destinato all’edilizia per salvaguardare l’incolumità fisica di studenti e professori; hai previsto l’assunzione di oltre centomila nuovi insegnanti per eliminare la cosiddetta supplentite (purtroppo lo studente non distingue tra supplente precario oppure di ruolo…). In verità, la nostra Scuola è affetta da tremontite: si interviene sempre dal punto di vista amministrativo –soprattutto tagliando stipendi, carriere e fotocopie- senza riuscire a immaginare cambiamenti che determinino miglioramenti sostanziali.
A te che ami la velocità faccio notare che per rendere la nostra Scuola la migliore del pianeta basterebbe una generazione di studenti, cinque anni; occorre però ottimizzare i percorsi scolastici, attrezzare le scuole, ricostruire le relazioni didattiche docenti-studenti e, soprattutto, selezionare e motivare gli insegnanti.
I dati statistici e macroeconomici dimostrano che risparmiare denari ai danni della Scuola è stata un’operazione politicamente suicida, poiché solo producendo know how (to be) –che a sua volta genera ricchezza- si rilancia il Paese.
La depressione in termini d’immagine, ruolo e stipendio, subita dagli insegnanti, ha determinato che a essere attirati verso tale professione non siano più i migliori; è stato penalizzato l’impegno all’autoformazione e alla ricerca (anche nell’Università la valutazione è aleatoria e sprezzante dei meriti, vedi i recenti concorsi per i quali siamo stati internazionalmente derisi!), inesistente qualsivoglia stimolo premiante; l’insegnamento da essere professione altamente qualificata è disistimata, mera sorveglianza delle giovani generazioni che può ben essere fatta a cottimo (manovalanza intellettuale: “chi più lavora, deve guadagnare di più!”); e che dire della burocrazia sempre più ottusa che sovrasta il Docente, circolari e direttive e piattaforme prodotte con un clic, unica modernizzazione che i ministeri succedutisi hanno realizzato per attestare la propria stimata esistenza (almeno per loro, ben oltre la media stipendiale UE).
La prima operazione da realizzare è rendere la figura dei docenti italiani appetita dagli studenti, in modo che gli insegnanti siano modello non più decontestualizzato ma centrale nel processo di costruzione dell’autorevolezza dello Stato nell’immaginario della società tutta (è appena il caso di sottolineare che tale autorevolezza è stata smarrita anche dalla classe politica).
Occorre assumere generale coscienza che i Docenti siano il presidio etico di una civiltà, gli strumenti principali per formare i cittadini.
Caro Presidente del Consiglio, io ti chiedo di riconsegnarmi al destino delle mie responsabilità: fammi sentire che quel che faccio per il Paese e per le nuove generazioni è considerato, ché il mio lavoro contribuisce alla competitività del Paese -in termini di onestà, cultura, solidarietà, sapienza (elementi di cui l’economia è solo succedanea)-, ché la felicità futura dei giovani a cui mi rivolgo dipende anche da me.
Sono un uomo di Stato: concedi anche a me l’autorevolezza senza l’esigenza di indossare la cravatta.
Nicola Tenerelli
Ordinario Storia e Filosofia,
Liceo Cartesio, Triggiano (BA)
www.nicolatenerelli.it
nicolatenerelli@filosofiadellarelazione.it